Ci siamo, cioè ci sono. Anche se dopo qualche settimana di silenzio, rieccoci qua a parlare di cinema e dintorni.
Vorrei dedicare il primo post del 2010 al ricordo di uno dei più grandi affabulatori del cinema, un uomo unico in grado di gettare uno sguardo assolutamente originale sul mondo: Eric Rohmer.
A un mese dalla sua scomparsa vorrei invitarvi a vedere e rivedere i gioielli che questo incredibile regista ci ha lasciato. Dal Raggio Verde ai Racconti Morali a quelli delle Quattro Stagioni fino agli ultimi lavori come La Nobildonna e il Duca, Rohmer ci ha regalato un mondo incredibile, leggero e profondo ad un tempo, uno sguardo scanzonato, ironico ma anche indulgente sull’amore, l’amicizia la fedeltà e il tradimento, ovvero sulla banale quotidianità. Una quotidianità che naturalmente ogni giorno deve fare i conti con ciascuno di noi, la nostra vita, i nostri comportamenti e le nostre relazioni e che il regista si è sempre divertito a scandagliare senza mai sfiorare nemmeno il moralismo ma riuscendo come nessun altro a farci lo straordinario che si cela nel banale (nel senso stretto del termine).
Rohmer lo ha fatto con leggerezza e arguzia, facendo leva soprattutto sul fulcro della nostra quotidianità, la parola.
La parola è esternazione, inganno, tentazione; attraverso le parole infatti proviamo a farci capire ma anche a imporci, ad affermare le nostre idee, a ingannare e ingannarci. Le parole spesso sono in contrasto con i sentimenti, diciamo una cosa pensandone un’altra. Ho detto, mi ha detto, ti dico… ogni giorno la parola è il continuo tentativo che facciamo di organizzare i nostri pensieri e i nostri sentimenti, spesso – ci ha dimostrato il regista – confusi e in contrasto tra loro.
Perché le parole sono inafferrabili e l’essere umano ancor di più.
Viva Rohmer.
Eric Rohmer, lo straordinario del banale
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Cristina Bellettini
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